Libri e Fumetti Emozioni e contraddizioni segnano "L'amore non lo vede nessuno", Rizzoli, il nuovo romanzo del giornalista e scrittore romano ma di radice siciliana, conosciuto per il suo ruolo direttore dell'ufficio stampa della Presidenza della Repubblica. Protagonisti sono Silvia e il misterioso P., amante della sorella di lei morta in un incidente, che però nasconde delle contraddizioni e suscita perplessità
Il nuovo romanzo di Giovanni Grasso, “L’amore non lo vede nessuno” edito da Rizzoli, è incentrato sulla contemporaneità ed è frutto di invenzione letteraria. Un giallo sui generis, che si può definire un thriller esistenziale, con riflessioni filosofiche, psicologiche e sociologiche.
Giovanni Grasso, giornalista, scrittore, è consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente della Repubblica e direttore dell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica, autore televisivo e teatrale. Romano, il suo Dna è siciliano. I genitori erano entrambi isolani: suo padre era di Catania, la mamma di Piazza Armerina. Alla Sicilia ha dedicato una parte notevole del suo precedente libro, “Il segreto del tenente Giardina”, un romanzo a sfondo storico, con cui è tra i vincitori della cinquantesima edizione Premio Mondello, sezione Opera italiana.
Il nuovo libro “L’amore non lo vede nessuno” è una storia d’amore impossibile che contiene un’analisi delle profondità dell’animo umano, luci ed ombre, emozioni e contraddizioni. Protagonisti del romanzo sono Silvia e il misterioso P., amante della sorella di lei morta in un incidente stradale, che però nasconde delle contraddizioni e suscita perplessità. Nel romanzo si affrontano anche tematiche delicate e attuali quali il narcisismo patologico e l’amore tossico. Nella narrazione si intersecano sentimenti e giochi di potere.
Silvia e il ricordo di Federica
“Silvia, la sorella maggiore della defunta, seduta in prima fila accanto al padre, incurvato sotto il peso di una sofferenza insostenibile, pensò che quel passo del Vangelo fosse particolarmente azzeccato. Sembrava proprio parlare dei suoi rapporti con la sorella. Anche lei, tante volte, si era sentita come il figlio “buono” e aveva masticato amaro per le attenzioni, la pazienza e l’indulgenza che sua madre e suo padre manifestavano nei confronti della scapestrata sorella. Il suo caratterino bizzoso e i suoi comportamenti provocatori avevano creato non pochi grattacapi e preoccupazioni a tutta la famiglia. Lei, invece, rispettava le regole, era sempre disponibile, ubbidiente, docile. Ma di questo i genitori sembravano non accorgersene, presi com’erano a rincorrere i capricci di Federica. Dopo aver commentato il Vangelo, il sacerdote aveva speso parole sincere sul dolore dei familiari, specie del padre, con il quale aveva una certa consuetudine. Aveva ricordato Lina, la mamma di Silvia e Federica, una donna pia e dolcissima, scomparsa ormai da parecchi anni. Ma nella predica era totalmente mancato qualsiasi riferimento all’anima irrequieta e ribelle che fino a pochi giorni prima aveva abitato quel corpo snello e scattante, che adesso giaceva inerte, imprigionato per sempre dentro una cassa di legno lucido. Non poteva essere diversamente, rifletté Silvia: don Tomasz non sapeva nulla di Federica. Forse l’aveva intravista un paio di volte in chiesa, a Natale o a Pasqua, ma non si erano mai scambiati una parola”.
Il funerale di Federica
“Da quella posizione rialzata, Silvia poteva vedere tutta la chiesa e scorgere i volti dei presenti. Notò subito che, per una curiosa coincidenza, i conoscenti, i vicini di casa, i compagni di scuola, il popolo, insomma, di Civello e di Villa Guardia, avevano preso posto nei banchi alla sua destra, dietro le file dei parenti. Mentre il settore alla sua sinistra era occupato da persone, soprattutto giovani, a lei pressoché sconosciute ma, in qualche modo, riconoscibili: i colleghi e gli amici di Milano di Federica. Era, pensò Silvia, quasi una rappresentazione plastica della vita della sorella. Di qua il suo passato di semplice ragazza di provincia, con i familiari e gli amici d’infanzia; di là, rigorosamente separato, il suo universo cittadino, smagliante e tentacolare, costituito da relazioni affascinanti quanto effimere. In fondo, Federica, con la sua perenne insoddisfazione e il temperamento mutevole, non sembrava appartenere veramente né a un gruppo né all’altro. Nel settore di sinistra pochi sembravano veramente commossi. Una smorfia luttuosa, uguale per tutti, tradiva l’artificiosità dei loro sentimenti. Silvia avvertì con chiarezza l’impressione sgradevole che la maggioranza di quelle persone vivesse la cerimonia di addio a Federica come un’incombenza da sbrigare al più presto, senza un briciolo di autentica partecipazione”.
L’uomo misterioso, alto e distinto
“Il suo interesse fu, però, catturato dall’ingresso in chiesa di un uomo maturo, alto e distinto, che si stava facendo faticosamente largo tra la folla per avvicinarsi il più possibile al feretro ricoperto di fiori. Lo scrutò con attenzione: non l’aveva mai visto prima, sicuramente non era uno del luogo, ma non sembrava nemmeno appartenere alla categoria azzimata dei “milanesi”. Non erano solo l’età o lo stile a distinguerlo. C’era in lui qualcosa di solenne, di ieratico. E, soprattutto, sul suo volto era dipinta una espressione sobria e composta, ma che rivelava un’indicibile pena interiore. Se avesse dovuto fare una classifica delle persone che, in quella chiesa, le apparivano più sinceramente addolorate, Silvia avrebbe sicuramente messo quello sconosciuto al secondo posto, davanti a lei persino, e subito dopo suo papà. Quell’uomo, ne era intimamente convinta, amava davvero sua sorella”.
L’incontro di Silvia e l’uomo misterioso davanti la tomba di Federica
“Silvia si infilò rapidamente nel vialetto alberato e raggiunse in breve tempo la tomba della sorella. L’uomo era in piedi, davanti alla lapide, aveva in mano un grande mazzo di fiori rosa e aveva il respiro affannato. Silvia gli si avvicinò senza fa rumore e gli pose una mano sulla spalla. L’uomo si girò: aveva il volto solcato di lacrime. Non sembrava affatto sorpreso di vederla. «Lei deve essere Silvia, vero? Federica mi parlava sempre di lei.» «E lei deve essere P, giusto?» «Giusto». L’uomo la squadrò dall’alto in basso. E aggiunse con voce accorata: «La somiglianza con sua sorella è straordinaria». «Lei era più bella e più giovane…». L’uomo scosse la testa e riprese a guardare fisso verso la tomba. Silvia lo scrutò. Tra i cinquanta e i sessant’anni. Alto, con delle belle mani. Delle sopracciglia folte gli incorniciavano gli occhi scuri e intelligenti. Tutto il suo corpo, lo sguardo, la voce, i gesti trasmettevano compostezza e signorilità. «Avrei il desiderio di parlarle» gli disse con piglio deciso. «Le va un caffè?» rispose lui. «Questo non è un posto adatto per una conversazione…». Silvia annuì e rispose: «Qui attorno non c’è nulla. Bisognerebbe andare in centro». «Preferirei, se non le dispiace, un luogo più appartato».
Il primo dialogo al bar e il “patto”
“Dopo neanche dieci minuti Silvia e il suo misterioso interlocutore erano seduti, uno di fronte all’altra, a un tavolino appartato all’interno di un bar di periferia che, a quell’ora del mattino, era senza clienti. In compenso, l’aria condizionata funzionava benissimo. L’uomo ordinò un caffè ristretto e un bicchiere d’acqua frizzante. Lei chiese una spremuta di arancia, con molto ghiaccio. Bevvero in silenzio. Silvia iniziò a fissarlo, cercando nelle pieghe del viso il bandolo di una intricata matassa. P se ne accorse e abbassò timidamente lo sguardo. Aveva un’aria così malinconica che Silvia cominciò a provare tenerezza per quello sconosciuto che aveva di fronte. Ma un pensiero la richiamò all’ordine: quell’uomo garbato, dai modi eleganti, poteva essere il persecutore di sua sorella e persino il responsabile della sua morte. Decise pertanto di comportarsi con la massima circospezione. Fu la voce profonda e gentile dell’uomo a rompere il silenzio, carico di imbarazzo: «Silvia, immagino che abbia molte domande in serbo per me». «Non sbaglia. Ma desidererei prima capire se c’è la volontà da parte sua di raccontarmi la verità. E fino a che punto.» Mister P si guardò intorno, per assicurarsi che nessuno potesse sentirli. Fece un profondo sospiro e, accennando un timido sorriso, rispose: «Le propongo un patto». Silvia lo fissò dritto negli occhi, non dissimulando una certa diffidenza: «Un patto? Per accettare, devo conoscerne le condizioni». L’uomo proseguì: «Le condizioni, anzi, la condizione è molto semplice. Io mi impegno a rispondere con la massima sincerità ai suoi interrogativi, ma lei mi promette solennemente che non farà nulla per conoscere la mia identità. Che gliene pare? Mi sembra un accordo equo». La donna annuì: «Sì, pare anche a me. Ma come farò a essere sicura che quanto mi dirà corrisponde al vero?». «E come farò io ad avere la certezza che non userà le informazioni che le fornirò per cercare di scoprire chi sono?» «In effetti, nessuno dei due potrà completamente fugare il reciproco sospetto…». «Il rimedio esiste: si chiama fiducia, Silvia. La fiducia è quel sentimento che ci permette di vivere come esseri sociali. Se non esistesse la fiducia, gli uomini vivrebbero impauriti e isolati in una caverna o sulla cima di un albero. Non aprirebbero le porte delle loro case agli ospiti o quelle delle loro città ai popoli alleati. Non si sposerebbero, non costituirebbero famiglie o amicizie o clan, non esisterebbero le città né le nazioni. Sarebbe guerra di ognuno contro tutti. Un inferno. Certo, la fiducia può anche essere tradita. Bisogna esserne consapevoli. I troiani non diffidarono del cavallo di legno e fu la loro fine. Ma senza fiducia il mondo non avrebbe conosciuto la civiltà, il diritto e il progresso…”.
L’enigma Federica
“Affare fatto: ci vedremo qui, in questo bar, ogni martedì alle 15, finché la sua curiosità non sarà del tutto soddisfatta. Io mi sottoporrò a tutte le sue domande per sessanta minuti esatti, non uno di più. Le do la mia parola d’onore che risponderò con il massimo della sincerità. Ma devo avvertirla: dubito che troverà mai la verità su sua sorella. La personalità di Federica era un enigma, anche per Federica stessa». Silvia annuì pensosa. Ma non vedeva l’ora di cominciare. Tagliò corto: «Posso?». «Sono pronto». «Che rapporto ha avuto con Federica?». L’uomo esitò un attimo, per cercare le giuste parole. «Abbiamo avuto una storia di amore. Una storia intensa, travolgente». «Quanto è durata, più o meno?» «Un anno e mezzo, quasi due». «Quando mia sorella è morta, eravate ancora… Insomma, la storia era ancora in corso?». «No, era finita. Anche se certe storie, certi legami non finiscono mai». «Da quanto tempo era finita?». «Ci siamo lasciati più o meno tre settimane prima dell’incidente».
Il fascino intellettuale di Mister P
“Guidando verso casa, Silvia rimuginò a lungo su quel brandello di conversazione e, soprattutto, sul suo interlocutore. La sensazione ricavata era stata di un uomo interessante, pacato e dotato di grande fascino. Un personaggio insolito, autorevole, originale, perfino sorprendente, così diverso da quelli che frequentava la sorella nel suo giro milanese, ma anche dai suoi amici di provincia. Non era poi così strano che ne fosse rimasta ammaliata. Nonostante la vita l’avesse resa ambiziosa e un tantino opportunista, Federica era irrimediabilmente attratta da persone mature, colte, argute e con un alto quoziente intellettuale. Con la sua bellezza non appariscente e la sua sottile spregiudicatezza aveva sedotto una schiera di uomini, belli, ricchi, potenti, giovani e meno giovani, spremendoli come limoni e gettandoli via senza pietà. Sapeva bene che uso fare della sua avvenenza. Ma Mister P, Silvia ne era sicura, non era tipo da lasciarsi irretire facilmente. Dava la sensazione di essere una fortezza inespugnabile. Una circostanza che aveva di sicuro scatenato la sfrenata passione dell’irrequieta sorella per le sfide impossibili. Quanto a Mister P, non ce lo vedeva proprio nei panni del persecutore né, tantomeno, in quelli dell’assassino di Federica. Era un’ipotesi assurda, persino ridicola. Ma, per altro verso, che ne sapeva di lui? E, poi, giornali e tv non riempivano le pagine di cronaca con le notizie di uomini insospettabili che avevano ucciso le proprie compagne per gelosia, possesso o per un semplice diverbio? Senza distogliere lo sguardo dalla strada, rovistò nella borsa e ne cavò fuori il cellulare”.
Il fluire della narrazione è scorrevole e nel contempo intriso di riflessioni importanti ben legate al dipanarsi della storia letteraria raccontata. Un libro che va letto in ogni sfumatura non solo per cogliere appieno il finale ma riflettere su ogni dettaglio, e giungere ad una visione ampia della struttura del romanzo.
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