Siciliani a colori La formula magica se ben pronunciata può essere molto potente: lo scorso 16 aprile mi ha trasportato in soli 15 minuti in un’altra nazione, in un altro continente, in uno Stato fuori dall’area di Schengen... ed io che credevo di aver soltanto attraversato la Circonvallazione di Catania e di essere arrivato al Parco Gioeni!
Prima di iniziare il mio racconto vi porgo una domanda: ma è megghiu riri Abracadabra, oppuri Sim Sala Bim?
Non so voi, ma fin da piccolo ho sempre preferito Sim Sala Bim… Già sentire il suono della parola Abracadabra mi infastidiva le orecchie, foneticamente c’era qualcosa che mi insospettiva, appena ascoltavo quel vocabolo un disagio si impossessava di me. Forse perché istintivamente intuivo che dietro quel termine c’era qualcosa di losco, fiutavo puzza di imbroglio. Non a caso erano quelli da quattru e ‘n mazzu a muntualla. Invece m’arricriavo tuttu paru a sentiri riri Sim Sala Bim.
C’era un mondo misterioso dietro quel suono sincopato che, se ben pronunciato, scatenava un grande potere immaginifico. C’era poco da fare, chi voleva stupire qualcuno, senza ombra di dubbio, doveva utilizzare quella frase. Comunque, lasciando stare le preferenze, che quelle sono del tutto personali – i latini già lo dicevano più di 2000 anni fa che è perfettamente inutile discutere sui gusti – ancora oggi Abracadabra e Sim Sala Bim sono i vocaboli più gettonati in ambito illusionistico. Normalmente solo dopo aver pronunciato una di queste due parole i prestigiatori, tra lo stupore generale, concludono i loro mirabolanti numeri di magia.
Un’ultima domanda prima di cominciare la mia storia… ma cu è cchiù putenti, ‘n mavaro o ‘na mavara?
Anche qui, ho sempre creduto che nel campo della stregoneria le donne fossero superiori ai loro colleghi maschi. Nel corso della storia dell’umanità, fatte le dovute eccezioni, Tiresia, Mago Merlino, Harry Potter e persino ‘u mago Pracchiapareddi, sono sempre stati surclassati dal gentil sesso. Dopo avervi esposto questi due postulati riguardanti formule magiche e negromanti, finalmente posso iniziare a raccontare.
La mattina dello scorso 16 aprile, nonostante il meteo incerto, ho raggiunto a piedi uno dei pochissimi polmoni verdi della città di Catania: il Parco Gioeni. Un chilometro esatto da casa mia, una distanza percorribile, di buona lena, in un quarto d’ora scarso. Fu alla fine di questa passeggiata, dopo aver percorso un bel tratto in salita della via Etnea e il relativo attraversamento della circonvallazione che… Sim Sala Bim!
Come per magia mi sono ritrovato improvvisamente in un’altra nazione, in uno Stato fuori dall’area di Schengen, in un Paese extracomunitario, nell’Asia sud orientale… e senza neanche possedere un valido passaporto!
Sim Sala Bim …. ben pronunciato è stato così potente da trasportarmi in un altro continente e non ho neanche dovuto affrontare quell’anomala procedura, tutta catanese, che riguarda il rilascio del passaporto. Insomma, è bastato un semplicissimo Sim Sala Bim (ma pronunciato bene) per farmi bypassare quei sei-otto mesi necessari per ricevere il passaporto e ritrovarmi in Sri Lanka, detta anche Isola Risplendente, Lacrima dell’India, Perla d’Oriente. In realtà il suo nome ufficiale è Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka, conta circa 22 milioni d’abitanti e ha due lingue ufficiali parlate: il singalese e il tamil.
Concorderete che percorrere in così breve tempo così tanti chilometri è stato possibile solo grazie ad un opera di straordinaria magia.
Solo una potente mavara, attraverso un sortilegio ben eseguito, avrà potuto trasportarmi in poco più di un quarto d’ora a 9.543 chilometri, la distanza esatta che separa Catania da Colombo, la capitale commerciale dello Sri Lanka.
Ad essere onesti, quello di domenica 16 aprile non è stato un puro Sim Sala Bim, in mezzo mi sa che c’era anche un pizzico di Abracadabra. Perché a ben pensarci ero sempre al Parco Gioieni, a Catania, ma era diverso dal solito.
Era una roba da: ‘mbari, allucinanti m’ha ‘ccririri, mancu ‘a Catania pareumu. Infatti, man mano che mi addentravo in quella splendida macchia mediterranea, scorgevo vessilli con scritte incomprensibili, molte bandiere strette e lunghe di colore verde e arancione, bordate di giallo e con al centro un leone che impugna una spada, e poi… tutti intorno a me parlavano un’altra lingua ed indossavano abiti bellissimi di chiara provenienza orientale.
Mi ci è voluta qualche domanda rivolta agli astanti per capire che non stavo sognando: proprio in quella giornata un migliaio di srilankesi stavano festeggiando il loro capodanno.
I miei “ciceroni” mi hanno spiegato che si tratta di una festa importantissima per la cultura srilankese in quanto celebra il passaggio del sole dalla costellazione dei pesci a quella dell’ariete, considerato l’inizio di un nuovo anno (che va da marzo ad aprile). Ho avuto il piacere di essere accolto da un popolo coloratissimo, fiero, gioioso e molto giocoso oltre che ben educato e disponibile a soddisfare ogni mia curiosità. E’ stato buffo sentirli parlare in italiano, e non perché lo facessero male, anzi, ma perché molti di loro (soprattutto i più giovani) hanno una inflessione inequivocabilmente catanese… sì, occaruno ri iddi parrava comu chiddi ro quatteri.
Normalmente dopo un’oretta trascorsa al parco ritorno a casa, ma in quella occasione sono rimasto a lungo condividendo con la comunità srilankese di Catania questa giornata di festa. È stato così piacevole questo viaggio inaspettato, che sarei voluto rimanere a godere di quell’atmosfera e in loro compagnia fino alla fine della festa, prevista nel tardo pomeriggio.
Ricordo chiaramente che, dopo aver allontanato le mie perplessità sul fatto ca non stava scattiannu, e che quello era sempre il Parco Gioeni ma in versione srilankese, tutto per me fu molto più piacevole. Mi sono sentito un turista nella mia stessa città.
La festa è iniziata con una cerimonia religiosa che si è tenuta attorno ad un albero, il Bodhi, un ficus considerato sacro dagli srilankesi perché sotto le sue foglie il Buddha ebbe l’illuminazione. Questa breve ma toccante funzione che simboleggia la rinascita e l’allontanamento dalla cattiva sorte, è stata caratterizzata dalla presenza di due monaci buddisti: Wagegoda Silananada (la massima autorità del tempio catanese) e Dhamma Kusala (organizzatore dell’evento) che con preghiere e abluzioni hanno purificato i fedeli. A seguire una piccola processione ha condotto tutti i partecipanti nello spazio dove sono state organizzate innumerevoli iniziative all’insegna della fratellanza tra i popoli. Due cose mi sono saltate all’occhio: la presenza di tantissimi bambini e gli abiti eleganti e colorati.
Il songkram, così si chiama questa festa di capodanno, è rivolto soprattutto alle nuove generazioni. Ero circondato da marmocchi di ogni età, giovani creature che sentivano forte la frenesia della festa (ed anche emozionati perché in questa occasione ricevono doni, come per il nostro Natale). Ho intuito che con questa festa la comunità cerca di consolidare e di tramandare le antiche tradizioni srilankesi alle nuove generazioni, che in certi casi neanche conoscono il Paese d’origine. Tutti i partecipanti indossavano abiti eleganti e raffinati: il sarong è l’abbigliamento riservato agli uomini, un vestito di seta o di cotone composto da una camicia decorata con ricami e da un pareo. Invece il sariya è l’abito delle donne, composto da una camicetta senza maniche e da un lungo panno avvolto intorno alla vita che arriva fino alle caviglie.
La comunità srilankese è molto aperta e accogliente, i due conduttori, il sorridente Saman Rathnayaka e l’allegra Thamara Maduanti Jayasundara, hanno introdotto tutti i riti, le gare di ballo e i vari giochi organizzati nel corso della mattinata e più volte hanno invitato gli italiani ad unirsi alla festa, purtroppo con scarso risultato.
Anche per gli srilankesi il cibo ha un ruolo molto importante nelle feste. Ho assaggiato un po’ di tutto e nessuna delle pietanze mi ha deluso, anzi! Passando dal dolce al salato, ho trovato che tutto fosse buonissimo. Forse alcune pietanze possono sembrare un poco piccanti per i nostri gusti, ma vi posso garantire che la cucina srilankese è veramente eccellente. Penso ai rolls con uova e verdure, oppure quelli farciti con il pesce… squisiti. Ho anche assaggiato il sabol al cocco, dell’ottimo riso e del pane tipico, molto sottile e altrettanto croccante, e tantissime altre prelibatezze di cui non ricordo più i nomi.
Prima di congedarmi ho voluto incontrare uno dei monaci. Aiutato da un’interprete ho avuto l’opportunità di intraprendere una conversazione molto spirituale con il monaco buddista che si è soffermato su un aspetto della festa che per noi occidentali è di difficile comprensione. Mi ha raccontato che il capodanno srilankese oltre ad essere un giorno di festa è anche un giorno di pace: in questa giornata speciale, infatti, qualsiasi tipo di dissapore che coinvolge uno o più uno srilankesi, ogni tipo di controversia passata o presente, nella giornata della celebrazione del songkram si deve risolvere.
Appagato dall’inaspettato viaggio last minute decido di rincasare, e camminando verso casa mi tuffo nei miei pensieri… ma vadda chi c’è ccà, ma unni c’era misa ‘na junnata ri chista, ri ‘sta puttata, a uoggi fu troppu sbrexsi ‘nternescional.
Neanche ho fatto in tempo a metabolizzare tutte le emozioni scaturite da quell’anomala esperienza, che una furia di interrogativi mi affollarono la testa. Su tutti, uno: ma un catanese sarebbe in grado di fare pace con il suo acerrimo nemico?
Riusciremmo a privarci, per un solo giorno, dei nostri infiniti screzi?
Saremmo capaci d’abbracciare quello che crediamo il nostro carnefice senza muzzicarici l’ammu?
E in quel caso, cosa ci diremmo? …Qui mi sono perso….
Forse per uscire da questo cul de sac ci vorrebbe l’incantesimo di una brava e potente mavara che con un Sim Sala Bim (detto bene) possa, almeno per un giorno, far trovare pace agli abitanti di questa “vulcanica” città.
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