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Tra ambiente e memoria, Carmine Abate ci conduce dentro il mistero dell’Olivo di Luca

Libri e Fumetti E' una storia di resistenza "L'olivo bianco", pubblicato da Aboca edizioni, in cui Abate mette al centro della narrazione un simbolo del mondo mediterraneo. E lo fa unendo i valori dell'ambiente, della memoria, delle identità culturali, della salvaguardia e della riscoperta della natura. Il tutto con sapienza narrativa, eleganza di stile, analisi critica verso le contraddizioni del nostro tempo, e capacità di saper incarnare la speranza in alcuni suoi personaggi letterari

Un romanzo che racchiude l’essenza della filosofia narrativa dello scrittore Carmine Abate, che interseca nelle sue opere storie e storia, memoria e dimensione esistenziale, natura e cultura. Lo scrittore calabrese, che con i suoi libri si è affermato in Italia ed all’estero (ha vinto importanti premi tra cui il “Campiello” con “La collina del vento”), in questo nuovo romanzo, L’olivo bianco”. Una storia di resistenza, pubblicata da Aboca edizioni, mette al centro della narrazione un simbolo del mondo mediterraneo. E lo fa unendo i valori dell’ambiente, della memoria, delle identità culturali, della salvaguardia e della riscoperta della natura. Il tutto con sapienza narrativa, eleganza di stile, analisi critica verso le contraddizioni del nostro tempo, e capacità di saper incarnare la speranza in alcuni suoi personaggi letterari. Con una visione di ampio respiro sempre legata alla concretezza delle storie narrate, l’invenzione narrativa come capacità di cogliere il senso profondo del reale.

Carmine Abate

Lo stato d’animo del giovane Antonio

Al centro della storia vi è il giovane Antonio. In una calda notte d’agosto, quando gli incendi divampano nelle campagne di Spillace, tre amici si riuniscono per chiacchierare fino a tardi. È un rito che compiono ogni sera, forse per cercare di spegnere almeno il fuoco che sentono dentro, nell’estate così inquieta in cui, dopo la maturità, devono decidere cosa fare delle loro vite. Mentre Riccardo e Marco sono propensi a lasciare la Calabria per emigrare in Germania, Antonio invece non  sa cosa fare. Sta cercando la sua via, la direzione esistenziale che possa far luce concreta sulle sue scelte. E’ certo dell’amore per Elena, ma in questo caso le sue decisioni si scontrano con una dinamica di incertezza, di aspetti che gli sfuggono, che rendono ancora più problematico il suo stato d’animo.

La storia nella storia

Il filo rosso che lega le storie è il mistero rappresentato dalle vicende di Luca. Vicende umane avvolte da un alone di mistero. Luca è un parente di cui ha un vero ricordo solo la nonna di Antonio, l’anziana Sofia. E proprio a lei, Luca aveva lasciato la sua casa e una striscia di terra aspra e scoscesa, coltivata con fatica e trasformata in un piccolo paradiso fertile, con alberi da frutto e tutte le varietà di olivi della Calabria. Antonio ha iniziato a familiarizzare con Luca attraverso i ricordi di nonna Sofia. Ricordi che Sofia esplicita ad Antonio con narrazioni appassionate. Qual era il mistero di Luca? L’uomo aveva attirato le invidie dei suoi compaesani perché era riuscito a trasformare un pezzo di terra abbandonato e aspro in un bell’oliveto. Dopo una notte in cui furono uditi degli spari, nessuno seppe più nulla di Luca. Era però rimasto l’Olivo di Luca, un terreno frequentato abitualmente dalla famiglia di Antonio. Su Luca gli abitanti locali avevano diversi pareri, nessuno sapeva se era davvero partito per l’America oppure era morto. Inoltre, non si capacitavano del perché aveva lasciato la sua proprietà a Sofia. “Chi era dunque questo Luca? E chi lo sa con certezza, chi? Mio padre si accendeva un’altra sigaretta e ricordava, la zappa appoggiata sulla gamba, le parole di sua mamma Sofia. Luca era un parente scapolo, senza fratelli, solitario, un uomo sperto assai, che pur non avendo una famiglia da campare era partito per la Merica Bona. La sua intera proprietà, l’Olivo di Luca e una piccola casa con una stanza da letto, un cucinino e un catoio, l’aveva lasciata in eredità alla cugina Sofia, la mia nonna paterna”.

La rinascita dell’oliveto

Il padre di Antonio, aiutato dal figlio, con sacrifici e impegno fa rinascere l’oliveto. Viene rimosso il rovettaro, emerge la bellezza della natura curata, della sua bellezza originale e della natura coltivata e abitata. Poiché è giusto ricordarlo, a parte i luoghi incontaminati, la bellezza delle campagne, dei giardini, dei campi del mondo Mediterraneo è il frutto di una plurisecolare e positiva interazione tra esseri umani e natura. E’ l’importante fenomeno che in Antropologia si chiama interazione tra natura e cultura. Tornando alla struttura narrativa, la liberazione dell’oliveto dai tralci spinosi diventa anche una metafora della ricerca della verità. E Antonio è colui a cui il narratore affida questo compito. Abate delinea con consueta efficacia il personaggio Antonio: “Anche adesso che ero troppo grande per l’altalena e frequentavo l’ultimo anno del liceo scientifico a Crotone, mi capitava di seguire la storia a occhi chiusi. Le parole di nonna Sofia risuonavano melodiose e urgenti, fino a trasformarsi in un canto su Luca e per Luca, che magari l’ascoltava nascosto nel bosco o in fondo al roveto. Luca, sì. Testardo e faticatore più di un mulo, diceva la nonna. Un uomo così sperto che nei primi decenni del Novecento sapeva guardare lontano nel tempo, fino a oggi. E anche oltre, fino a domani. Per cinque anni Luca si procura alberelli d’ulivo a Strongoli, a Rossano e a Melissa. Ogni inverno, dopo le prime piogge, ne pianta dieci della stessa varietà nei terrazzamenti che lui stesso ha predisposto, utilizzando le pietre piatte del ruscello. Una fatica davvero da paccio, sì, ma è l’unico sistema se si vuole evitare che in futuro le olive, cadendo, si perdano nel burrone”.

E palesa anche la complessa storia d’amore di Antonio: “Ti amo mi aveva sussurrato, ma dentro di me quelle due parole erano rimbombate come un grido d’amore. Ed era la prima volta da quando stavamo insieme. Non l’avevo delusa. L’esame era andato meglio del previsto e, in attesa del pullman per Spillace, le avevo offerto un gelato in riva al mare. Era lo stesso posto, vicino al Kursaal, dove andavamo a pomiciare nelle mattinate di fine maggio e all’inizio di giugno, dopo aver affrontato le interrogazioni in tutte le materie. Non sopportavamo di essere rinchiusi ad annoiarci nella nostra aula puzzolente di sudore. Quel mattino i baci avevano il sapore del gelato all’amarena e il futuro era una breve lista di desideri per Elena e di dubbi per me: lei che voleva iscriversi all’Università della Calabria e laurearsi in Scienze Naturali, io che non sapevo se cercarmi piuttosto un lavoro e sgravare la mia famiglia da un peso economico che non poteva permettersi; lei che dopo la laurea desiderava rientrare a Crotone per contribuire a liberarla dai veleni che le industrie avevano disseminato nel terreno e nel mare davanti; io che forse avrei rinunciato al mio sogno di girare il mondo, pur di viverle accanto”.

Lo scorso 27 febbraio, per “L’olivo bianco” Abate ha ricevuto a Genova il premio per la letteratura del festival Olio Officina con la seguente motivazione: “Fra gli autori di oggi, Carmine Abate è l’unico capace di raccontare con limpidezza che cosa rappresenti il sogno della terra: dell’agricoltura, dell’olivocultura. Il sogno di esistenze che – nel nostro Sud – hanno affrontato con determinazione la durezza del lavoro, gli ostacoli dell’ambiente e dell’odio umano, per affermare il proprio diritto a una vita libera e dignitosa”

La bellezza dell’Olivo di Luca

“Le olive bianche splendevano al sole come una nuvola di confetti sospesa su un tronco nodoso e slanciato. “Quanto è bella questa pianta!” disse la mamma. “Non è che macàri il nostro terreno si chiama l’Olivo di Luca per via di questo olivo bianco, speciale? “Può essere, tutto può essere. Ma per me si chiama così dall’olivo anticàrio che gli ha salvato la vita, a Luca.” Io non avevo dubbi: l’olivo che avrebbe dato il nome alla nostra proprietà era il primo piantato da Luca nel posto scelto da Solerò, come mi aveva ripetuto più volte la nonna. Ma mi dispiaceva contraddirli, erano così felici e convinti, meglio lasciarli crogiolare nelle loro ipotesi”. Un libro avvincente sul piano della trama, dal ritmo narrativo dinamico e con tratti poetici.

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