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Vanina Guarrasi scopre l’Etna dentro i segreti del Castagno dei cento cavalli

Libri e Fumetti Il “giallo” che il vicequestore nato dalla penna di Cristina Cassar Scalia è chiamata a svelare è il ritrovamento del corpo di una donna brutalmente assassinata nella suggestiva dimensione del maestoso albero di Sant'Alfio, alle pendici dell'Etna. E "Il Castagno dei cento cavalli" (Einaudi) è un romanzo che dipana un "giallo" e nel contempo è un viaggio nel cuore del mondo etneo. La creatività della scrittrice netina amalgama il tutto e lo fa vivere letterariamente con dinamismo narrativo

Un romanzo che dipana un “giallo” e nel contempo è un viaggio nel cuore del mondo etneo. Un racconto che intreccia storie e luoghi con l’Etna in primo piano, in particolar modo il suggestivo Castagno dei cento cavalli. Vi sono i luoghi della provincia etnea e vi è Catania, vi è natura e cultura, vi sono i meccanismi d’indagine e le relazioni umane e sociali. Accanto alla protagonista del romanzo “Il Castagno dei cento cavalli” (edito da Einaudi), il vicequestore Vanina Guarrasi, vi è la  sorella che è venuta a trovarla a Catania dopo una sofferta decisione esistenziale. La creatività della scrittrice netina Cristina Cassar Scalia amalgama il tutto e lo fa vivere letterariamente con dinamismo narrativo. L’autrice sa come coinvolgere i lettori, sa dosare gli elementi con ironia efficace, sa far emergere i caratteri psicologici dei personaggi senza calcare la mano. Il “giallo” che Vanina è chiamata a svelare è il ritrovamento del corpo di una donna brutalmente assassinata nella suggestiva dimensione ambientale del Castagno dei cento cavalli.

La scrittrice costruisce uno scenario in cui la limpidezza della giornata fa da contrasto alle immagini drammatiche del ritrovamento del corpo: “Il cielo s’era pulito. Il vento di ponente, che soffiava dalla sera prima con raffiche che sfioravano i sessanta chilometri orari agitando le fronde e gli animi, aveva spazzato via le nuvole regalando una giornata che più limpida non poteva essere. L’agente del Corpo forestale Sandra Bellini e l’ispettore Luigi Spechis se ne stavano in silenzio. Ognuno per conto proprio, rimuginavano su quel Due giugno lavorativo che sin dalle prime ore si stava prospettando gravoso. Dalle sei del mattino non avevano fatto che furriare come due palle pazze su e giù per il versante orientale dell’Etna appresso alle più svariate emergenze, a cominciare dall’albero abbattuto dal vento che s’era andato a coricare di traverso sulla strada tra Fleri e Lavinaio, bloccandola. Una camurrìa non da poco, resa tuttavia meno onerosa dallo scarsissimo flusso di mezzi che vi transitavano in un giorno festivo”. 

I luoghi etnei e la storia

“Da Zafferana a Milo, se si escludeva la fugace apparizione di una volpe, e un gregge di pecore con pastore e relativi cani, la jeep verde non incrociò anima viva. Così più o meno dall’incrocio per Sant’Alfio fino alla destinazione, dove la squadra Antincendio del Corpo forestale aveva già domato le fiamme, che per fortuna non s’erano spinte oltre una collinetta ben distante dal castagno. Erano partite dal bordo della strada appena fuori il paese. – Ragione avevi, Bellini, – ammise Spechis, sollevato. Tirò fuori il telefono e chiamò il dirigente. Gli comunicò lo scampato pericolo e gli assicurò che, certamente lui e Bellini avrebbero comunque fatto un sopralluogo di ricognizione al castagno, che, seppure videosorvegliato, a quell’ora era incustodito. Un salto, tanto per controllare”.

Cristina Cassar Scalia, foto Marco Ficili

Il Castagno dei cento cavalli

L’autrice scrive: “In cima alla salita, recintato da una cancellata dipinta di verde, il Castagno dei cento cavalli si stagliava con i suoi tre tronchi e il cappello fitto di rami che in quel periodo erano particolarmente verdi. Il più grande dei tre fusti, quasi un secolo prima, era stato in parte intaccato da un incendio doloso”.

Il Castagno dei cento cavalli a Sant’Alfio

Lo stato d’animo di Giovanna Guarresi, detta Vanina

Cassar Scalia palesa la condizione dello stato d’animo di Vanina: “Che la giornata non stesse partendo col piede giusto, il vicequestore aggiunto Giovanna Guarresi, detta Vanina, l’aveva capito quando la terza sveglia, la Veglia anni Trenta ereditata dai nonni che teneva strategicamente in cucina, per qualche assurdo motivo aveva deciso di dare forfait, abbandonandola al torpore popolato di sogni della prima mattina. Un garbuglio onirico fatto di ricordi, paure, cattivi presagi, combinati tra loro al punto che chiamarli incubi non avrebbe reso giustizia. Il peggio era che da un po’ di tempo di quei sogni Vanina aveva preso a ricordarsi con dovizia di particolari. Così era capitato anche quella mattina, quando s’era ritrovata di colpo seduta sul letto, madida di sudore che pareva aver corso la maratona. Ci aveva messo un paio di minuti a capire che qualcuno stava bussando alla porta. Aveva appena poggiato un piede per terra, quando sua sorella aveva fatto irruzione nella stanza accendendo la luce. -Cocò, spegni! – l’aveva rimbrottata, coprendosi gli occhi con la mano”.

Giusy Buscemi sul piccolo schermo è è Vanina Guarrasi, personaggio nato dalla penna di Cristina Cassar Scalia

Il viaggio verso Palermo con la sorella e il repentino ritorno

In viaggio verso Palermo per accompagnare la sorella a casa i piani dell’investigatrice Vanina vengono stravolti: “S’era appena infilata nel parcheggio dell’area di servizio Sacchitello, intenzionata a onorare il famoso iris di Alfio, che magari a secco non avrebbe reso come accompagnato da un cappuccino, quando il suo telefono iniziò a suonare. La faccia che comparve sul display non permetteva alcun dubbio. Quasi come quella di Costanza, che di colpo si rallegrò: – Spanò è! – Poi, ancora più gioiosa: – Per chiamarti in un giorno di festa chissà che fu-.

Cominciò a rimpacchettare il vassoio, già pronta al cambio di programma che una telefonata dell’ispettore capo Carmelo Spanò preannunciava al novantanove per cento. -Ispettore, buongiorno. Che succede? -Buongiorno, dottoressa. Mi deve scusare ma il Gran Capo disse di avvertirla. La Guarrasi si mise in allarme. – Di che cosa? –  Nemmeno ventiquattr’ore erano passate dall’ultima volta che aveva incontrato il primo dirigente Tito Macchia, altrimenti noto come Gran Capo. Le aveva giustappunto augurato buone vacanze, ricordandole che non si può lavorare trecentosessantacinque giorni all’anno. La spiegazione per un tale ribaltamento di prospettiva poteva essere una sola. E infatti. – Abbiamo trovato una donna morta ammazzata. Sotto il Castagno dei cento cavalli, – fece Spanò, ferale. -Sotto che? -Il Castagno dei cento cavalli, dottoressa. Mai lo sentì nominare? -Mai. E dove sarebbe? -A Sant’Alfio. Vanina ragionò brevemente. -E che c’entriamo noi col territorio di Sant’Alfio?- Di solito i reati relativi a quella zona erano appannaggio dei carabinieri. -Avvisarono prima noi”.

Il complesso rapporto con la madre

“Alla notizia che le figlie, in particolare la minore, non sarebbero tornate a Palermo nemmeno quel giorno, Marianna Partanna in Calderaro, ex vedova Guarrasi, reagì con una rabbia che mal si addiceva. Una rabbia che tradiva tutto l’amaro ingoiato in quelle settimane in cui Costanza aveva deciso di seguire, si sperava temporaneamente, l’esempio della sorella e mollare fidanzato, città e genitori senza spiegazioni, e nel caos assoluto di un matrimonio annullato a un mese dalla celebrazione. Un insieme di circostanze che avrebbero messo a dura prova i nervi di qualunque madre, figurarsi se già scottata da precedenti simili sventure”.

Vanina sul luogo del delitto

Il vicequestore si precipita sull’Etna e giunge al Castagno dei cento cavalli: “Più che sotto un albero pareva di essere dentro un bosco. – Facissi attenzione, dottoressa, che può inciampare nelle radici,- l’avvertì Spanò, mentre la precedeva. Adriano era già chino sul corpo della vittima. Quella che avevano di fronte sembrava una scena da thriller americano, di quelli in cui un serial killer fa a pezzi le proprie vittime, rigorosamente donne. Proprio come la povera disgraziata che aveva trovato la morte sotto quel monumento naturale. Completamente nuda, le mani amputate appoggiate sul ventre, a sua volta squarciato in basso da un lungo taglio trasversale che correva da fianco a fianco. I piedi, anche quelli amputati, erano conficcati nel terreno. Il resto del corpo era ricoperto di tagli, più o meno grandi, più o meno profondi.

-Madonna santa,-mormorò Vanina, più colpita di quanto si aspettasse. -Ora capì perché preferivo che lo vedesse con i suoi occhi, dottoressa?

Impressionare una come lei, che metà della sua carriera l’aveva passata stando appresso a Cosa nostra palermitana e atrocità ne aveva viste a tignitè, di solito non era facile. Stavolta però qualcosa le stringeva lo stomaco. E siccome lo sguardo le cadeva sempre lì, quel qualcosa doveva essere per forza legato allo squarcio sul ventre della donna”.  

Vanina inizia la sua indagine e gli sviluppi sono sorprendenti…

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